VILLA RACHEL
"Quei due" ed io
di ANTONIO DI LORENZI
Ah, davvero formidabili quegli anni, gli anni ’70, gli anni in cui ero un brutto giovane di belle speranze. Iscritto all’Università, alla Facoltà di Farmacia e con la mia famiglia che gestiva il bar della Bocciofila Ernesto Savio (in seguito Bocciofila Corniglianese) in Piazza Rizzolio a Cornigliano.
Si trattava di un “fumosissimo” locale dove la maggior parte dei frequentatori era costituita da pensionati di Cornigliano che trascorrevano lì una buona parte della loro giornata. C’erano sette campi da bocce che ospitavano sia gare sociali che importanti tornei e c’era il bar, il caro e vecchio fumoso bar. Proprio in quegli anni, fra un esame di Chimica ed uno di Anatomia, mi capitava di fare il “barista aggiunto”, quando cioè per motivi impellenti, ero costretto a dare una mano ai miei genitori. Essere baristi in una società di pensionati, che ti piaccia o no, significa imparare a conoscerli, entrare nelle loro teste e perfino a ragionare come loro: tutto questo, per un giovane come me a quei tempi, significava…imparare a conoscere la vita. Quante cose utili ho appreso da loro, oltre che a parlare il dialetto genovese. In breve tempo e con frequentazioni costanti impari a conoscerli, a tracciare un loro profilo, a conoscere le loro abitudini e perfino a scovare qualche aspetto comico che li caratterizza.
In pratica, si trattava di una “famiglia allargata”: ci si conosceva. Ancora oggi, sarei in grado di ricordarli tutti, teneramente, uno per uno senza distinzione, ma l’elenco finirebbe per essere troppo lungo ed esulerebbe da questo racconto. Ce n’era uno in particolare, di questi pensionati, che si attardava a chiacchierare sempre con me mentre rimescolava lo zucchero nella tazzina del caffè: “U Tranviere”. Parlavamo di bocce, di vita, di Genoa e di Sampdoria e di film visti alla TV. Poi, alle quattro e mezza del pomeriggio, si rimetteva il cappello e correva di corsa a casa, in Via Guido Agosti, a vedere “La TV dei Ragazzi” che trasmetteva “Furia cavallo del West”. Come non provare tenerezza di fronte ad una simile evidenza. L’anziano non è altro che un bambino truccato da vecchio. Ebbene in quei giorni, ogni tanto si avvicinava al banco e mi parlava di “Villa Rachel” la bella villa che sorgeva un tempo, proprio lì, proprio dove io e lui stavamo parlando in quel momento. Confesso che a quei tempi di Villa Rachel non mi importava proprio niente o quasi, ma un po’ per educazione e un po’ per rispetto nei suoi confronti, lo stavo comunque ad ascoltare. Pertanto, fu proprio lui che mi raccontò per la prima volta dell’esistenza di questa villa di Cornigliano, adibita ad Hotel di lusso.
Villa che fu poi abbattuta nel 1935 in piena epoca fascista, per fare posto all’attuale palazzo del Commissariato di Polizia. Ebbene, solo oggi, che a mia volta sono un pensionato e soprattutto oggi che mi sento un... bambino truccato da vecchio, mi va di rispolverare questa antica notizia, questa vecchia informazione che ho conservato dentro di me senza averne troppa cura, negli anni fin qui vissuti.
Quando ho avuto la conferma che una buona parte dei corniglianesi (doc o presunti tali) non conosceva l’esistenza di “Villa Rachel”, ho sentito il bisogno di “scavare” attorno a questa villa, scavare idealmente nel passato al fine di “tirare su” di portare in superfice, notizie quanto più veritiere possibile. Lo so per certo, quando si passa da Piazza Rizzolio e ci si imbatte in quell’edificio rossastro di epoca fascista, tutto forza e muscoli, con quell’orologio sulla torre che da non so quanti anni segna imperterrito le “5,05”, non si pensa certo a Villa Rachel, non si immagina di sicuro una bella donna rampante assetata di potere e di denaro, non si fantastica su un esule dalla Corsica perseguitato politico nonché scrittore, non si concepisce un giovane e sfortunato pittore dalla vita breve e drammatica e non si riesce a vedere un certo Cesare Abba non già come uomo, come eroe del Risorgimento e poi ancora come un ottimo insegnante, ma unicamente come ad un Istituto Tecnico di Ragioneria. Si passa da Piazza Rizzolio senza pensare minimamente a cosa c’era un tempo, nel punto preciso in cui stiamo appoggiando i nostri piedi. E così, scavando a mano nuda fra le scarse notizie su Cornigliano mi sono ben presto accorto che questa “storiella sentimentale”, (consumatasi velocemente mentre stava passando da qui la “Storia” quella vera, quella dei libri di scuola), era in un certo senso, rimasta intrappolata fra le esili mani e le logore matite di un giovane pittore di Molassana, fintanto che, le stesse medesime mani, non avevano tratteggiato su tela il ritratto di un volto che a sua volta, determinerà altre conoscenze. Complicato? Non credo proprio.
Un filo tira l’altro, una persona conosce l’altra fino…fino ad approdare a Villa Rachel, fino ad arrivare a Cornigliano. Villa Rachel, come del resto Castello Raggio, sono stati distrutti dalla Storia e dall’uomo, sono stati abbattuti entrambi per far posto ad un “qualcosa d’altro” che non ha mai convinto nessuno. Ma, mentre da un lato Castello Raggio gode tuttora di una notorietà assoluta ed incontrastata, corredata da una pletora di fotografie e documenti da far invidia ad una soubrette, di Villa Rachel esistono pochissime (due?) immagini ed una storia appena tracciata. Villa Rachel fu abbattuta soltanto quindici anni prima di “sua maestà” Castello Raggio e questo fu sufficiente per essere misteriosamente inghiottita nell’oblio, ad essere prontamente insabbiata alla memoria dei corniglianesi, quasi a volerne cancellare il suo passato. Attraverso una manciata di pubblicazioni ricoperte da un palmo di polvere digitale (che in coda a questo documento avrò cura di menzionare) mi sono divertito a mettere assieme degli autentici “mozziconi di notizie”, delle semplici frattaglie di informazioni di seconda o terza mano, nel tentativo di farle combaciare fra loro in modo da produrre un racconto, una storia di senso compiuto che si reggesse sulle proprie gambe. Posso dire che in massima parte è davvero stato così, mentre per alcuni “trascurabili” aspetti, ho dovuto ricorrere a quel particolare tipo di “stucco” che serve a tenere assieme più storie che marciano parallele, nel preciso intento di farne diventare una sola. Ecco quindi Villa Rachel ed i personaggi che l’hanno popolata, o vissuta anche marginalmente, nella seconda metà dell’800.
Dicembre 1856, a Cornigliano come in qualsiasi altro posto, il Natale si avvicina a grandi passi.
Fa un freddo cane, non c’è neve, ma la gente che percorre la Via Provinciale, (oggi Via Cornigliano) sempre abbondantemente imbrattata, passando davanti a “Villa Pellegrini”, è imbacuccata a dovere. Una villa di antica proprietà degli Spinola, una villa che in capo ad un’ottantina di anni a partire da adesso, non lascerà più alcuna traccia di sé. Eppure, nonostante questa “breve vita edilizia” che le resta ancora da percorrere, la villa nasconde tanta Storia e tante storie da raccontare. Siamo in pieno Risorgimento, Cavour ed il Re Vittorio Emanuele II, sono sotto il dominio austriaco. Cavour si deve privare dei territori di Nizza e di Savoia in cambio di un’alleanza con Napoleone III al fine di liberarsi dello straniero in casa. Mazzini, Garibaldi, i “moti” di insurrezione e la “Seconda Guerra d’Indipendenza” sono alle porte. Tutto freme, come il fango della Via Provinciale al passaggio delle carrozze, e l’Italia, come sempre e da sempre, è divisa in due: i moderati, come il Cavour che aspirano all’indipendenza attraverso la diplomazia e la politica di stampo conservatrice, ed i repubblicani, con gli stessi intenti dei moderati ma, la loro via passa attraverso azioni decise e dirette, con una politica progressista. Qui a Cornigliano, i fratelli Dufour, (Lorenzo, Carlo e Luigi) sicuramente “moderati”, avviavano una fabbrica di chinino e Lorenzo, di lì a qualche anno, sarebbe diventato Sindaco proprio di Cornigliano. Ebbene, proprio mentre mi capita di scrivere queste note, intirizzito dal freddo con le scarpe infangate, questa elegante villa di proprietà dell’avvocato pisano Giacomo Pellegrini è chiusa e delimitata sulla Via Provinciale da un’enorme cancellata. All’interno, lontano dagli schizzi di fango provocati al passaggio delle carrozze, uno stupendo giardino popolato da eucalipti, aranci e tigli. La villa poi, è un grande caseggiato che si sviluppa su tre piani. Una piccola parte di essa è adibita (in affitto) a Locanda, sotto la gestione di una giovane donna molto intraprendente la cui madre gestisce un negozio di stoffe e articoli per signore, in pieno centro a Genova, “nei vicoli” come usa dirsi. La restante parte del caseggiato è composta da appartamenti che l’avvocato Pellegrini, unico proprietario dell’intera struttura, affitta a gente di passaggio o a chi presta lavori in Cornigliano. Questa “bella Locandiera” dagli occhi penetranti e scuri non può, di tanto in tanto, esimersi dall’andare in città a dare una mano a sua madre in negozio. Pertanto, una o due volte a settimana, Rachele abbandona la locanda di Cornigliano per occuparsi di stoffe e vestiti per signore. Sempre nella villa, ma in una delle stanze in affitto, alloggia invece un avventuroso livornese pieno di guai e di idee. E’ arrivato a Cornigliano da pochi giorni dalla Corsica, fuggito da un esilio troppo soffocante e mal tollerato.
Sono state proprio le sue idee, ritenute troppo sovversive, troppo filo-mazziniane, e troppo repubblicane a convincere il Cavour a confinarlo fuori…dai suoi piedi. Ma lui, cinquantenne stagionato dall’animo fin troppo ribelle simile a quello di un ragazzino, non si era lasciato tenere in scacco troppo a lungo. Attraverso una serie di peripezie che definirle avventurose sarebbe fin troppo riduttivo, è approdato proprio qui a Cornigliano riuscendo ad affittare una stanza in questa villa tenuta un po’ nascosta dai tigli e dagli eucalipti. Davvero un posto ideale per riallacciare i contatti con i patrioti genovesi che lo avevano in gran stima. Domenico Guerrazzi, livornese purosangue dall’infanzia devastante che lo aveva segnato in modo irreversibile nel carattere.
Padre e madre pessimi, contribuirono ad indurire il suo carattere come il cuoio. In una sua biografia spunta questo passaggio duro come un macigno: “Procreato per svista ed auspici avversi…”
Passaggio che la dice tutta sulle sue origini. Tutto questo lo renderà rissoso, bisbetico, polemico, aggressivo, odiava gli ebrei ed aveva davvero una scarsa stima nei confronti delle donne, salvo qualche rara eccezione, come vedremo più avanti. Ma anche le sue idee garibaldine contribuirono non poco a procurargli numerosi grattacapi, tanto è vero che collezionò una serie incredibile di arresti, espulsioni e confinamenti di vario genere. Una personalità davvero controversa al punto che si sarebbe potuto definire un…nazista con idee progressiste o ancora meglio, un progressista con qualche debolezza nazista. Nel 1822 ancora diciottenne, viene (tanto per cambiare) espulso dall’Università di Pisa per motivi politici. In breve tempo però, diventerà uno scrittore di discreto successo con alcune opere di stampo patriottico. Un po’ la politica, un po’ la scrittura lo elevarono in breve tempo, fino a raggiungere una discreta notorietà. Adesso però, con il vostro permesso, mi allontano solo per qualche pagina da Cornigliano per spostarmi in centro, concedo un po’ di tempo al “toscanaccio ribelle” per sistemare il suo bagaglio, di ambientarsi a Cornigliano e di guardarsi un po’ attorno. Scopriremo fra non molto, che “il nostro” si sarà guardato anche fin troppo bene…intorno. Nel frattempo io, che devo soltanto registrare questi eventi, prendo una carrozza a scrocco e scendo all’inizio di Via Carlo Alberto (Gramsci), mi infilo su per Via Del Campo, scendo a passo lento per Fossatello proseguo in San Luca, risalgo per la Maddalena ed infine giù, mi fiondo in Piazza Della Posta Vecchia. Eccolo dunque il negozietto della signora Gavoglio. Nell’ampia porta di legno scuro e vetri, fa capolino nella parte alta un’insegna dipinta con cura e a mano, tinteggiata in giallo ocra: “Gavoglio tessuti. Novità per signora, stoffe in lana, seta ecc.”
Che dite, entriamo? Non appena la porta a vetri un po’ traballante ha percorso mezzo giro, sento suonare un dolce campanellino che annuncia il mio ingresso. Da dietro all’imponente banco in legno intagliato, gli occhi della signora Gavoglio e figlia si puntano su chi scrive queste misere note.
Ma, non avendo il sottoscritto la minima importanza in tutto questo contesto, faccio un rapido cenno alla signora di non badare troppo a me. Un negozio piccolo, circondato da imponenti scaffali colmi di tessuti arrotolati. Un manichino che guarda nel vuoto, indossa un elegante abito di lusso, completo di lustrini e bottoni dorati. Oltre alla signora e signorina Gavoglio, noto la presenza di due signori. Quello alla mia destra lo conosco già, nel frattempo si sarà certamente ambientato, è Domenico Guerrazzi, avvolto in un lungo cappotto blu scuro. E’ proprio vero che, i cinquantadue anni che questo signore ha, li dimostra davvero tutti: alto, un po’ ricurvo su se stesso, sguardo truce quasi aggressivo e provocatorio. L’ampia fronte lucida circondata da una pettinatura ben curata ed ondeggiante, mento largo e squadrato che rivela un carattere decisamente volitivo e risoluto. Occhialini ovali appoggiati sopra la gobbetta dell’abbondante naso, segno evidente di testardaggine e fedeltà ai propri valori. Se ne sta lì, con un sorrisino un po’ ebete che contrasta terribilmente con quando ho descritto fino ad ora. Perché quel sorrisino così ingenuo, stupido e soprattutto fuori luogo, che fa a botte con la sua vera personalità? Eh già, ma guarda un po’ a chi sono rivolte, tutte queste sdolcinatezze che rimbalzano scandalosamente fra le stoffe colorate del negozio, fin quasi a sfiorare il ridicolo. Non già nei confronti della signora Gavoglio di pari età, ed essendo anche una bella donna, la cosa finirebbe per giustificare abbondantemente il tutto: queste particolari attenzioni invece, sono rivolte alla di lei figlioletta diciottenne, alla bella e giovane Rachele. Debbo confessare che, mentre annoto tutto questo, provo un certo imbarazzo per loro, fin quasi a sentirmi a disagio. Ma il mio compito, si limita semplicemente ad annotare tutto questo e niente di più. L’altro uomo di fronte al bancone, alla mia sinistra, è un giovane ventenne o forse qualcosa meno, un coetaneo della signorina Rachele. Magrolino, non altissimo, pallido in viso tendente quasi al ceruleo, con due baffetti da sparviero che ne innalzano la dignità, occhi grandi e scuri che conferiscono al giovane uno sguardo penetrante che trabocca di lealtà. Capelli neri infine, tirati coraggiosamente all’indietro e solcati da una profonda riga centrale. E’ Cesare Abba, che fra non molti anni diventerà anch’egli, esattamente come il Guerrazzi, uno scrittore ed un politico di successo. Soltanto che…al momento attuale, è soltanto un giovane di belle speranze, iscritto all’Accademia delle Belle Arti, su in Piazza San Domenico, (oggi De Ferrari) e niente di più. Si dà il caso che la madre di lui, sia buona amica della signora Gavoglio: le due signore infatti, si conoscono da parecchi anni e spesso la mamma dell’Abba si reca in questo negozio a fare acquisti. Il buon Cesare aveva usato il pretesto di passare da lì, per vedere se per caso ci fosse stata sua madre. Soltanto una scusa, un banale appiglio per poter vedere, anche soltanto per pochi minuti, la bella Rachele. Ma, anche lui, a giudicare dal suo sguardo così mortificato, aveva da pochi minuti, fatto la stessa scoperta di che scrive.
“Hai mai veduto la figlioletta della signora Gavoglio? Una bella ragazza davvero, ha più o meno la tua età…” gli disse un giorno sua madre, con una strana aria di complicità. E da lì, con la penosa scusa di passare a prenderla, usciva dall’Accademia di gran corsa per intrufolarsi giù nei vicoli, fino a giungere tutto speranzoso in Piazza Della Posta Vecchia. Ma adesso, adesso il mondo per lui si stava sgretolando ai suoi piedi. Era fin troppo evidente anche per lui che fra “quei due”, nonostante la differenza di età ci fosse qualcosa di tenero, come era altrettanto evidente che la bella Rachele aveva idee ed obbiettivi piuttosto chiari. Uno scrittore di successo, falsamente bohémien ed affascinante per via delle sue intrepide e scapestrate avventure…al cospetto di uno sbarbatello, squattrinato e soprattutto sconosciuto ventenne: una lotta davvero impari. I suoi pensieri così deprimenti e irrimediabilmente tristi sono interrotti dalla voce della signora Gavoglio: “Signor Abba, sua madre è andata via proprio qualche minuto fa…” Appena udito questo nome il Guerrazzi ha come un sussulto. Smette bruscamente di sorridere a Rachele e rivolgendosi all’Abba dice: “Mi permetta…lei è Abba? Cesare Abba?”
Il giovane ancora depresso si stupisce di tanta improvvisa notorietà e fa un gesto affermativo. “Permette? Domenico Guerrazzi.”
L’espressione dell’Abba questa volta non tradisce alcuna emozione, ma dentro di sé, sta ribollendo un autentico vulcano.
“E’ dunque lui, il nobiluomo, il grande repubblicano, l’eterno esiliato e carcerato…” pensò fra sé nei brevi istanti che accompagnavano la vigorosa stretta di mano.
Domenico Guerrazzi dunque, sulla strada di Cesare Abba, quando si dice il destino, la fatalità. Entrambi sapevano di avere, per pura coincidenza, un amico comune, un amico che purtroppo era morto due anni fa: Federico Peschiera. Mentre Cesare e Domenico si scrutano e si perdono nei convenevoli che dovrebbero portare alla conoscenza l’uno dell’altro, ci spostiamo per qualche istante da Piazza Della Posta Vecchia in Valbisagno. So benissimo che ci siamo allontanati un po’ troppo da Cornigliano e dalla sua invitante Villa Pellegrini, ma questi spostamenti in città, ci sono utili per ricucire, per tenere assieme i cinque personaggi che danno forma a questa storia. Una piccola frazione sopra a Molassana, Pino Soprano, una modestissima famiglia talmente povera da non potersi nemmeno permettere il lusso di mantenere decentemente il proprio figlioletto, il piccolo Federico, che verrà affidato ad un barbiere del paese con l’intento di avviarlo già dalla tenera età, al mondo del lavoro che lo attendeva con impazienza. Ma Federico, già da allora aveva un segreto nelle sue dita, una piccola dote che passeggiava nervosamente fra le sue manine scarne e le poche matite sgangherate che già possedeva. Disegnava tutto quello che vedeva: oggetti, quadri appesi, vasi di fiori e qualunque cosa entrasse nel suo campo visivo. Si distraeva dal lavoro, non puliva il pavimento dai capelli tagliati, non preparava la schiuma per radere le barbe più irsute ma…disegnava a modo suo. Fu così che un ufficiale di marina si accorse di questo precocissimo ragazzino di talento e lo raccomandò direttamente al Marchese Durazzo che provvide a dargli un sussidio mensile di 15 Lire. Con questo aiuto esterno il ragazzino poté compiere gli studi di base, scuola elementare e superiore e mettersi in evidenza vincendo anche dei concorsi. In seguito, il tipografo-editore Antonio Ponthenier nel 1830 fondò la rivista “Il Magazzino pittorico” e lo assunse per svolgere la parte artistica. Per due anni andò avanti così finché nel 1832 venne chiamato alla leva militare e questo fatto poteva significare la fine dei suoi “sogni pittorici”. Ma anche qui, in suo favore intervenne un Marchese, Giancarlo Serra, che lo sottrasse dall’obbligo militare accompagnando questa cortesia con un discreto aiuto economico. La sua vita ebbe una svolta decisiva: andò a Firenze per qualche anno a perfezionare i suoi studi e le sue tecniche e nel 1838 si ritrovò a Pisa, proprio con il Guerrazzi, per illustrare alcuni suoi scritti. Due anni di collaborazione proficua e di sincera amicizia fecero il resto. Proprio in questo fortunato biennio, Federico, durante una pausa dal lavoro, in pieno relax, pensò bene di fare un ritratto al Guerrazzi, ritratto che il pittore conservò per sé anziché farne dono al suo amico. Nel 1840 quindi, pittore e ritratto fecero ritorno a Genova. Più tardi venne nominato “Accademico di merito” e nel 1848 fu impegnato in Piazza Sarzano, nella Chiesa San Salvatore, a dipingere un medaglione nella volta centrale della chiesa stessa. Da li in poi, cominciò ad affermarsi e raggiunse una certa notorietà a Genova come nel resto d’Italia. Per l’Accademia di Piazza San Domenico, (oggi De Ferrari) fu un vero punto di riferimento. Poi improvvisamente, ebbe una strana ed imprevista involuzione nello stile che gli procurò parecchie critiche: non era più ben visto, non era più nelle grazie dell’Accademia e si trascino così in questo “fuoco nemico” fino al 1854: infausto e per lui terribile 1854. Proprio in quell’anno, in piena crisi di identità, all’Accademia conobbe il giovinetto di appena sedici anni, Cesare Abba per l’appunto. I due legarono subito assieme anche perché Cesare, nonostante la giovanissima età, dimostrava già in pieno tutta la sua maturità. Federico confidò all’Abba tutte le sue delusioni le sue sconfitte e proprio in quei pomeriggi trascorsi a bere qualche boccale di vino buono, gli fece dono dell’ormai famoso ritratto del Guerrazzi. Ma la sua sorte ormai era segnata: volle cocciutamente lasciare Genova e tutte le critiche che lo circondavano. Si imbarcò in tutti i sensi, in un’avventura più grande lui. Se recò in Francia fino al porto Le Havre e da qui, a bordo di un veliero americano, il Malhouse, partì per New Orleans in Louisiana. Un viaggio per mare di quasi due mesi per cambiare vita, per trovare nuovi consensi e nuovi successi: durante il viaggio si ammalò di febbre gialla e morì pochi giorni dopo. Fu buttato in mare, come un qualsiasi rifiuto. Da Molassana all’Oceano Atlantico, che se lo prese e lo inghiottì per sempre. Solo diciotto anni prima, in un momento di svago e forse di felicità aveva fatto quel “ritratto galeotto” che in questo preciso momento metteva di fronte l’uno contro l’altro, un signore ed un ragazzo: Domenico Guerrazzi e Cesare Abba nel negozio di tessuti della signora Gavoglio in Piazza Della Posta Vecchia, a Genova.
“Se non mi inganno, Lei dovrebbe essere in possesso di un mio ritratto eseguito dall’amico Peschiera, o sbaglio? “
Disse il Guerrazzi in tono forzatamente gentile, quasi come una sentenza definitiva ed inappellabile. Cesare ormai lo detestava: detestava la sua impertinenza, il suo essere così rozzo e poco gentile, talmente sbrigativo da apparire insolente. Detestava inoltre, il suo “eroismo di facciata” perché soltanto un anno prima, si era rifiutato di dare aiuto ad alcuni esuli repubblicani che, perseguitati dal governo, tentavano di lasciare Genova per mettersi in salvo. Detestava infine, quel suo spudorato interesse per Rachele, così fuori luogo, così sconveniente e così poco… onesto. Ma del resto, era proprio la stessa Rachele a reggere e compiacersi di questo gioco, senza che nessuno la obbligasse.
“Nemmeno morto.”
Pensò dentro di sé. Proprio per tutte queste sacrosante ragioni, Cesare non aveva la minima intenzione di cedere al Guerrazzi il suo ritratto. E iniziò così ad opporre una decisa resistenza al suo incalzare, sostenendo che al momento non si ricordava se lo avesse nella casa di campagna oppure se lo conservasse qui in città, in qualche cantina. Mentendo ancora più spudoratamente, lo rassicurò che, qualora lo avesse ritrovato, ne avrebbe certamente dato notizia alla signora Gavoglio. Era fin troppo evidente che, tanto il Guerrazzi quanto la bella Rachele, avevano per sempre chiuso con la sua vita. Ecco quindi un quadro, un quadro che in un primo momento sancisce amicizie per saldarle alla base, ed allo stesso tempo, lo stesso quadro che, a distanza di pochi anni, le amicizie le fa saltare per aria, le disintegra. Un quadro tratteggiato a matita con sapienti sfumature, nato a Livorno da un’amicizia fra un giovane pittore di Molassana ed un affermato scrittore livornese e spostatosi infine a Genova nelle mani di un altro amico che, un po’ per gelosia ed un po’ per repulsione spontanea, porrà termine a questa ipotetica catena di solidare amicizia. Le due lampade a petrolio che illuminano la bottega di Piazza Della Posta Vecchia si spengono lentamente, lasciando al buio le ombre immobili e silenziose dei quattro personaggi. Ritorniamo definitivamente a Cornigliano da dove siamo partiti e dove ci interessa stare, ritorniamo a Villa Pellegrini, dove “Quei due”, Domenico e Rachele se la intendono alla grande. “Quei due” cominciarono proprio davanti all’imponente cancello di Villa Pellegrini, quello che dà sulla Via Provinciale. Lui che usciva a testa bassa, avvolto nei suoi pensieri di cospiratore e lei che entrava reggendo un cesto pieno di biancheria pulita; lui che le cede cavallerescamente il passo e lei che ringrazia con un sorriso incantevole. “Quei due” iniziarono proprio così, tre mesi di folle amore. Da Natale a Pasqua, nella bella Cornigliano, si amarono furtivamente ora nella stanza di lui ora nella camera di lei, sempre ai limiti della clandestinità. La giovane locandiera di Villa Pellegrini intenta a ricevere sempre nuovi clienti e a sistemare al meglio le camere della sua piccola Locanda ed il maturo esule ricercato, che dalla sua stanza scriveva in continuazione lettere ai patrioti sparsi per Genova e l’Italia. “Quei due” forse non si amavano propriamente, la loro, con tutta probabilità, era soltanto un’infatuazione passeggera, un’attrazione reciproca del tutto provvisoria. Il divario di età ma soprattutto il particolare giudizio che aveva lui sulle donne, non garantivano certo stabilità a questa relazione di contrabbando. Lui stesso, in alcuni suoi scritti ebbe modo di affermare: “…il matrimonio è il sepolcro dell’amore, però dell’amor pazzo, dell’amor sensuale…” “…in amore, solo gli inizi hanno un fascino. Non mi sorprende che si provi piacere a ricominciare spesso…”
“Noi italiani ci innamoriamo in chiesa…”
Questo quindi, era esattamente quello che il Guerrazzi pensava delle donne. Del resto, la sua vita era molto densa di schermaglie politiche, seguiva con molta attenzione le vicende dei patrioti che si opponevano, tanto alla politica del Cavour quanto agli austriaci. Una ragazza come svago, una ragazza come disimpegno momentaneo, ci poteva anche stare. “Quei due”, nelle giornate di sole sferzate dalla gelida tramontana, passeggiavano lentamente giù alla Marina: chiacchieravano, si raccontavano l’un l’altra le loro vicende e a volte, senza che se ne rendessero conto, finivano con l’arrivare fino allo scoglio di Sant’Andrea. Al Guerrazzi piaceva Cornigliano, da buon livornese amava il mare, gli piaceva averlo così vicino, poterne disporre a suo piacimento, vederlo, sentirne il suo sale nell’aria nelle giornate di vento e poi si era anche innamorato della collina di Coronata dove di tanto in tanto vi si avventurava per dominare Cornigliano e Genova dall’alto. Poi lei, come destatasi da un sogno, all’improvviso, a passo spedito faceva ritorno alla Locanda dove la attendevano un sacco di incombenze. Quella della Locanda era proprio una sua passione. Era davvero portata per questo mestiere, a gestire i clienti, viaggiatori di commercio, gente di passaggio e perfino qualche turista dato che Cornigliano a quei tempi era davvero una località speciale. Il suo sogno, la sua massima aspirazione era appunto quella di poter gestire un giorno, un grande albergo, un Hotel di lusso con clientela selezionata ed importante. Ma per ora, c’era da tirare avanti questa piccola Locanda e di tanto in tanto, aiutare la mamma nel negozio di tessuti, giù in centro. Passò il Natale del 1856, passò, con l’anno nuovo, anche l’inverno e con la primavera alle porte, il rapporto fra “Quei due” iniziò a scricchiolare. Qualche piccolo screzio, qualche incomprensione, qualche brutta risposta data un po’ troppo frettolosamente, finché non subentrò subdolamente un pizzico di indifferenza che provvide a dare la spallata definitiva a quel rapporto che già non si reggeva più in piedi. Si era esaurita la spinta iniziale, si era smarrito il fascino dell’avventura e dell’imprevisto e perfino quel pizzico di trasgressione che fin qui aveva sorretto il rapporto fra “Quei due”. “Quei due”, tanto per essere chiari, erano entrambi stufi l’uno dell’altra e ormai si sopportavano a stento. Fintanto che, arrivò come una manna dal cielo, la svolta: un amico del Guerrazzi passando un giorno a trovarlo a Cornigliano, per portargli la corrispondenza di alcuni patrioti, lo informò che si era liberato un bell’ appartamento a Villa Giuseppina, in salita San Rocco. Il Guerrazzi non se lo fece dire due volte: radunò lo scarso bagaglio che aveva disseminato per la sua stanza e pochi giorni dopo si trasferì nel quartiere di San Teodoro, nell’attuale Via Bologna. Cornigliano così, perdeva Domenico Guerrazzi. Rachele a sua volta perdeva Domenico o se preferite, Domenico perdeva Rachele non sapendo ancora che, la Storia a volte, gioca strani scherzi e delle curiose sorprese.
Sparito il Guerrazzi da Villa Pellegrini e da Cornigliano, la bella Rachele iniziò una nuova vita in tutti i sensi. Era giovane, anzi giovanissima, molto carina e soprattutto molto determinata: questa sua forza nel carattere era proprio la garanzia di successo e di affermazioni future. Per qualche mese si buttò capo e collo nel lavoro senza badare affatto ai sentimenti. Nella Locanda c’era da lavorare sodo, i clienti certo non mancavano e questo contribuì a consolidare le sue idee e soprattutto i suoi sogni nascosti. Appena ne aveva l’occasione, era solita abbandonarsi ai suoi pensieri in piena libertà, fantasticava un Hotel tutto suo, da gestire con le sue idee, da modellare con i suoi progetti che già da tempo aveva ben chiari nella sua mente. Cornigliano era un posto bellissimo: c’erano un sacco di ville patrizie e ville liberty sulle basse colline che contribuivano ad abbellirla, ad impreziosirla. C’era il mare poi, una fantastica spiaggia di sabbia e scogli che la percorreva per intero, dal Ponte situato all’estremo di Levante, fino allo Scoglio di Sant’Andrea all’estremo di Ponente. Non di rado, le carrozze di passaggio, arrivate a Cornigliano, si fermavano bruscamente. Chi ne era a bordo voleva scendere, voleva andare a vedere di persona quanto fosse bella. Questoquindi, sarebbe stato davvero il posto più adatto per dare vita a quel suo “fantastico” Hotel di lusso ma, fra il dire ed il fare, come sempre c’era di mezzo il mare, quello di Cornigliano in questo caso. Il mare inteso come difficoltà, come ostacolo da superare. Ebbene, questo “ostacolo da superare” si presentò proprio alla Locanda qualche anno dopo, nelle sembianze di un uomo. “L’ostacolo da superare” si chiamava Giacomo Pellegrini, avvocato pisano di successo e soprattutto unico proprietario della villa dove trovava posto la Locanda di Rachele. L’avvocato Pellegrini inoltre, possedeva tutto il terreno che dalla villa stessa, arrivava fino alla Marina. Tanto per intenderci, il terreno dove passerà la futura Via Regina Margherita, oggi Via Gattorno. Un piccolo impero, insomma. Quel giorno l’avvocato, accompagnato da un suo dipendente, aveva deciso di conoscere di persona la signorina che gestiva la Locanda e della quale aveva sentito parlare. C’era infatti da riscuotere l’affitto trimestrale della Locanda stessa e lui volle essere presente. Infatuazione? Colpo di fulmine? Non ho la certezza che esistessero già nell’800, ma di sicuro, il facoltoso avvocato rimase colpito dalle grazie di Rachele e soprattutto dalla sua disinvoltura ed intraprendenza. Rachele non appariva affatto intimorita e sembrava addirittura a suo agio nel mostrare all’avvocato, come avesse organizzato nel suo piccolo, la modesta Locanda. Inutile dire che tre mesi dopo, alla successiva riscossione dell’affitto, il Pellegrini si presentò nuovamente e questa volta da solo: la quota d’affitto da riscuotere, non era più il piatto forte. Stava nascendo, ancora lì e ancora a Villa Pellegrini, (che continuerà a chiamarsi così ancora per poco), una nuova e ben più duratura storia d’amore. Erano gli anni ’60 dell‘ ‘800 e lentamente si stava preparando una sorta di “Boom” pari a quello degli anni ’60 del secolo successivo. Corsi e ricorsi della Storia. La piccola Cornigliano, con i suoi 2700 abitanti, stava per spiccare il volo, stava per iniziare la sua profonda trasformazione ed alle porte iniziava a vedersi un vero e proprio piano urbanistico che avrebbe cambiato seriamente i connotati di questa parte della città. Da pochissimi anni, giù alla Marina era stata inaugurata la Stazione Ferroviaria, della linea Sampierdarena-Voltri.
Sempre alla Marina, fra il 1860 e il 1861 (oggi nella parte a Ponente di Via Bertolotti), venne impiantata una fabbrica di vagoni ferroviari di proprietà di un certo signor Colano. La vita di questa industria fu davvero breve e, soltanto un anno dopo, chiuse i battenti, lasciando in eredità forse, la prima ciminiera delle tante che seguiranno. Una ventina di anni dopo nella stessa struttura subentrerà il ben più noto e longevo “Cotonificio” amministrato dal Commendatore Adolfo Durst. Per la cronaca, la presunta prima ciminiera di Cornigliano, è ancora oggi al suo posto, nelle vesti di monumento storico del passato corniglianese. Nelle strade, soprattutto nella centralissima Via Provinciale (oggi Via Cornigliano), esordiva l’illuminazione a gas e compariva la figura suggestiva del lampionaio. Nel 1863 poi, Cornigliano si impreziosiva ulteriormente con la presenza del Principe Oddone, figlio sfortunato del Re Vittorio Emanuele II. Si stabilì infatti a Villa Bombrini per curare le sue tante, troppe malattie. L’avvocato Pellegrini si dichiarò ufficialmente a Rachele e si recò a chiedere la sua mano alla signora Giuseppina Gavoglio, la quale, in un impeto di entusiasmo
di fronte ad un “simil partito” acconsentì di buon grado. Erano passati soltanto pochi anni dall’avventura con il Guerrazzi e Rachele aveva iniziato una nuova storia sentimentale, quella definitiva. A guardar bene, era passata da un livornese ad un pisano e, dal punto di vista delle antiche rivalità storiche, non c’era di sicuro da stare allegri, ma in amore, tutte queste congetture non hanno alcun significato. Nel 1868 finalmente arrivarono i fiori d’arancio e la coppia convolò a nozze. La Locanda ovviamente venne chiusa e la “Signora Pellegrini” ormai, dall’alto della sua nuova sistemazione sociale, non poteva di certo occuparsi più di queste modeste mansioni. Tuttavia, nonostante il matrimonio e nonostante il netto avanzamento sociale, il sogno dell’Hotel viveva sempre dentro di lei. E chi, meglio del facoltoso avvocato Pellegrini, poteva permettergli di realizzare un sogno di questa portata? Bastava solo saper aspettare e per adesso, la bella Rachele si godeva i progressi di Cornigliano e badava a fare la “signora”. Nei primi mesi del 1870 è in “dolce attesa” e proprio in questo periodo così felice, inizia a progettare con il marito Giacomo, il futuro e tanto desiderato Hotel. Le stanze, i saloni, l’arredamento, adesso Rachele può disporre interamente di Villa Pellegrini, altro che la modesta Locanda e il progetto è davvero serio ed ambizioso. Arriva così il Novembre del 1870 ed arriva il primo erede della famiglia Pellegrini: Paolo Emilio. Rachele vive l’esperienza di madre con molto impegno ma, tant’è, fra una poppata e l’altra il suo pensiero si insinua sempre nell’Hotel ed alla sua progettazione, affinché questo sogno che dura da tanti anni, possa prendere una fisionomia ben precisa. Il 1872 è un anno piuttosto importante: arriva anche il secondogenito, Ubaldo e, il progetto per il nuovo Hotel è pressoché ultimato. Resta soltanto la sua realizzazione pratica. Iniziano così i lavori di ristrutturazione della Villa che porteranno alla nascita del “GRAND HOTEL VILLA RACHEL”. Il sogno coltivato sempre da Rachele va ben oltre il consentito: non più la vecchia dicitura “Villa Pellegrini” ma una sorprendente “Villa Rachel”, dando cioè al suo nome Rachele, molto italiano, una sorta di internazionalizzazione che la dice lunga sulle ambizioni del grande albergo.
Il 23 settembre del 1873, nel pieno dei lavori, a Rachele giunge una triste notizia: a Cecina, in provincia di Livorno, si è spento Domenico Guerrazzi. Soltanto diciassette anni prima, i due erano amanti proprio sotto quello stesso tetto sul quale lei stessa stava progettando il suo futuro. La notizia non la sconvolse più di tanto: un po’ gli anni trascorsi, un po’ la brevità della loro relazione, un po’ due figli a cui badare e soprattutto… ”Villa Rachel” che a grandi falcate stava arrivando a bomba sul suo presente. Tuttavia, una lieve parentesi di tristezza, rallentò per qualche giorno il suo slancio produttivo. Ma a Cornigliano, tutto stava crescendo, tutto era in divenire. Quello stesso anno, suo marito Giacomo Pellegrini diventerà addirittura Sindaco di Cornigliano. Sono anni di autentico splendore, per la famiglia Gavoglio-Pellegrini.
Arrivò così il 1875, a Cornigliano come in ogni altra parte del mondo. Nella odierna Piazza Rizzolio, cercate di immaginare: immaginate un’imponente cancellata che separa la Via Provinciale (oggi Via Cornigliano) dall’interno della villa ed un cancello di servizio in Via de Amicis (oggi Cervetto); immaginate oltre il cancello, un giardino confortevole popolato da piante di aranci, eucalipti e tigli.
Immaginate l’interno della villa: due grandi ed eleganti saloni ben illuminati a disposizione della clientela, una sala biliardo per chi non sa rinunciare al gioco e un bar, che cento anni dopo vedrà proprio me, confabulare con “U Tranviere “del Genoa e della Sampdoria. Camere confortevoli di cui alcune in stile sud-orientale e tutte dotate di caminetto e servite da acqua corrente. Il costo per potervi alloggiare è di otto lire al giorno. Avete immaginato? Benissimo, siete i benvenuti al “Grand Hotel Villa Rachel” di Cornigliano. E’ la vittoria, ahimè provvisoria, di Rachele Gavoglio che non bada a spese, non vi baderà talmente tanto, da pregiudicare il suo futuro nemmeno troppo lontano. Ma per ora, è soltanto gloria: addirittura a Cornigliano fa il suo ingresso il primo medico condotto: il Dott. Boraggini che arriva da Voltaggio e che ovviamente, almeno in un primo momento, avrà il suo studio medico proprio all’interno dell’Hotel. Un servizio di questo genere, rappresenta davvero un’esclusiva per la clientela. In seguito verrà sostituito da un medico inglese sempre per dare un tono internazionale all’Hotel. In mezzo a tutte queste novità, arriva anche il terzo figlio, Mario. L’hotel corniglianese in breve tempo, diventa un vero e proprio punto di riferimento, anche in campo internazionale, comparendo in tutte le guide turistiche d’Europa. Nel 1878 vi alloggerà, fra gli altri, il deputato e poeta piemontese Luigi Rocca, che rimarrà talmente e soprattutto favorevolmente impressionato da questo soggiorno, da dedicare un’intera poesia all’Hotel. Uno “sponsor” di notevole efficacia. L’anno successivo addirittura, viene pubblicato un libro, che in realtà è una vera e propria guida turistica per centri termali di benessere, dove ovviamente compare l’Hotel Villa Rachel con una recensione quanto meno lusinghiera. Si tratta de “Stazioni termali nel Mediterraneo: da Hyeres a La Spezia" di Edward Isaac Snacks. L’autore di questo testo soggiornerà a Cornigliano per qualche giorno facendo la conoscenza di “Madame Rachel” e del suo splendido Hotel. Il 1879 sarà l’ultimo anno di vero splendore e serenità per l’Hotel. Già all’orizzonte iniziano a comparire i primi spettri di una crisi finanziaria: i primi debiti, investimenti avventati e forse un poco pretenziosi. In quell’anno arriverà anche l’ultimo erede, sempre maschio: Ferruccio. Badare a quattro maschietti con età compresa fra i nove anni in giù non è davvero cosa semplice. Lo slancio passionale di Rachele inizia a rallentare e lei stessa non sembra avere più quell’intraprendenza giovanile di qualche anno prima. Iniziano ad accumularsi i primi debiti su alcune forniture per l’Hotel. La situazione si trascina così fino ai primi mesi del 1880, quando Rachele decide di arrendersi e nell’Aprile dello stesso anno affida in gestione l’Hotel ad un certo Giuseppe Felil un piccoletto quarantenne di belle speranze ma con tutta probabilità, di scarse finanze. Gestirà l’Hotel per l’intera stagione estiva fino a Settembre per poi alzare bandiera bianca. Nel frattempo, Giacomo Pellegrini, marito di Rachel, si ammala, inizia a non stare bene e a non essere più in grado di badare ai suoi tanti interessi. L’intera struttura, l’impalcatura della loro vita sta scricchiolando pericolosamente. Quello stesso Settembre riesce a dare in gestione l’Hotel un una coppia veramente convinta e determinata: i signori Detraz e Paniglio, che sembrano avere le idee piuttosto chiare circa la conduzione dell’Hotel. Rachele medita, medita a lungo e, con la scusa della salute del marito Giacomo, decide di trasferirsi a Pisa, nelle vecchie proprietà del suo consorte, per sottrarsi da quel vespaio che è improvvisamente diventata per lei, Cornigliano. I debiti la circondano e non la fanno stare tranquilla. I Detraz e Paniglio nel frattempo, iniziano la loro avventura all’Hotel e nonostante gli scossoni finanziari di Rachele, riusciranno a stare in sella per ben dieci lunghi anni. L’anno successivo, nel 1881, Rachele inizia una fitta corrispondenza con il Comune di Cornigliano: c’è in gioco un progetto ambizioso che comprende le numerose proprietà del marito Giacomo. Oltre all’Hotel, tutto il terreno che da lì porta alla Marina è di loro proprietà ed il Comune vorrebbe renderlo di pubblica utilità allo scopo di realizzare una strada di comunicazione che attualmente manca, una strada per collegare il Borgo superiore alla Marina. Stiamo parlando ovviamente di quella che sarà Via Regina Margherita (oggi Via Gattorno): con questa concessione, la famiglia Pellegrini-Gavoglio avrebbe dal Comune, la concessione per l’edificazione di ben quindici caseggiati. Un progetto mastodontico e, frugando maleducatamente fra le tasche di Rachele, piuttosto irrealizzabile, ma tant’è, la Gavoglio continua imperterrita. Il Comune infatti acquista il terreno per la nuova strada ma il progetto non decolla perché Rachele non ha più soldi ma soltanto debiti, debiti e ancora debiti. Quello stesso anno, con la morte di Giacomo Pellegrini, resterà vedova. Nel 1885 sboccia una gemma destinata a fare “storia” se non “epoca”. Sullo scoglio di Sant’Andrea, nasce il Castello Raggio di proprietà del Conte Edilio Raggio e per mano dell’ingegner Rovelli. Con questo “tassello aggiuntivo” Cornigliano raggiunge l’apice della bellezza e dell’interesse turistico. A pochi metri di distanza invece, nella futura Piazza Rizzolio, Villa Rachel ha iniziato il suo triste declino. Sempre nello stesso anno, 1885, spuntò fuori l’ambizioso progetto dell’ingegner Naricci, architetto di Nizza, che fece traballare e mise in difficoltà il Comune di Cornigliano che tardava a prendere una decisione. Ma già nel mese di Giugno, Rachele si arrende e chiede al Comune di non dare corso alla dichiarazione di pubblica utilità di quei terreni in quanto, essendo assediata dai debiti, vorrebbe venderli, assieme ai terreni vicino alla spiaggia intestati ai figli, mettendo sul piatto della bilancia anche la Villa Rachel. Siamo all’epilogo. Nel 1886 Rachele cede gratuitamente al Comune, Villa Rachel ed il giardino circostante. E’ la fine annunciata di un’epoca. Da qui, le notizie sulla ex amante di Domenico Guerrazzi, nonché moglie di Giacomo Pellegrini, si perdono nei meandri di oscure biblioteche. Com’è lontana quella Rachele del negozio di stoffe in Piazza Della Posta Vecchia, com’è lontana quella Rachele che gestiva una piccola Locanda. Da qui in poi, non sono stato più in grado di trovare notizie sul suo conto, se non degli innumerevoli atti processuali che si sono generati a causa della gran quantità di cambiali che aveva emesso nel corso degli ultimi anni. Immagino abbia continuato a vivere a Pisa per tenersi lontana da polemiche e relativi pettegolezzi. Fatto sta, che mi è sfuggita di penna, l’ho persa: la storia, i documenti ufficiali e le notizie, me l’hanno nascosta. Non posso più continuare a scrivere di lei, non la vedo più.
La villa intesa come tale invece, avrà una piccola appendice prima di polverizzarsi definitivamente sotto le pale delle ruspe. Dopo la data del fallimento, 24 Novembre 1892, la villa sarà abitata da una famiglia non precisata, avente l’unico scopo di custodire la stessa ed i suoi mobili conservati all’interno. Nel 1900 avrà l’onore di trasformarsi in Municipio di Cornigliano per ben sedici anni ma, sarà il canto del cigno. Nel 1919 diventerà scuola Tecnica per Macchinisti Navali e nel 1921 sarà Biblioteca fino al 1926. Per alcuni anni rimarrà poi disabitata per essere infine demolita dalle “ruspe di regime” nel 1935, per far posto alla Casa del Popolo.
Il mio lavoro di ricerca purtroppo si ferma qui, si blocca per…mancanza di ricerca. Si abbandona, si accartoccia su sé stesso in Piazza Rizzolio da dove è nato, da dove è partito o se preferite, da dove ha preso forma e non sa più proseguire. Dentro alla Bocciofila Corniglianese, quella degli anni ’70, fra bicchierini di barbera, bianchi con l’amaro e caffè corretti con l’anice si è fatto un silenzio cupo e tutti stanno guardando me e “U Tranviere”. Lui, appoggiato al banco che rimescola lo zucchero nella tazzina marchiata “Rostkafé”, ed io, sbarbatello secco come un’acciuga che lo ascolto.
Ricordi a scoppio ritardato, ricordi che per far ritorno alla mente, non devono compiere grandi imprese perché conoscono fin troppo bene la strada. Sapevo di Villa Rachel già dal 1973, ma non me ne ero mai interessato: poi appunto, nel corso di una della tante mie “edizione straordinaria del ricordo”, il volto del tranviere, il volto di chi conosceva la storia o quanto meno l’esistenza di Villa Rachel, si è formato davanti a me e la miccia si è di colpo accesa. Reperire materiale non è stato facile o forse io stesso non sono stato in grado di recuperarne più di tanto, ma fra me ed il mio amico tranviere c’era un patto, una promessa sancita davanti ad una tazzina di caffè: un giorno, non so come e quando, ti verrò a cercare e ti troverò. Cercando Villa Rachel in fondo, cercavo proprio lui, il suo ricordo di cinquanta anni fa. Ah… quasi dimenticavo: vale la pena di sottolineare un aspetto quanto meno curioso. A pochissimi metri da dove sorgeva Villa Rachel, per l’esattezza dentro a Villa Gentile Bickley di Via Cervetto, oggi è presente la Biblioteca Civica…ehm…Domenico Guerrazzi. La cosa vi dice niente o si tratta soltanto di una combinazione?
Tutto sommato, credo che a noi piaccia pensare che “Quei due”, non si siano mai del tutto lasciati o quanto meno allontanati troppo.
" …A Genova, basta subire la tentazione del primo tram che si avvii alla riviera. Da Piazza Carlo Felice, o da altrove vi punge il desiderio di correre al galoppo convenzionale di tre o quattro cavalli, sino a Villa Rachel, sino a Cornigliano..."
Tratto da "Quattro Ritratti: Verdi a Genova" di F. Giarelli 1880.
Riferimenti:
"Storia delle biblioteche civiche genovesi" Giuseppe Piersantelli 1964
"Rivista di Firenze e bollettino del disegno" 1859
"Stazioni termali nel Mediterraneo da Hyeres a La Spezia" Edward Isaac Snacks 1878
"Ultime foglie" Luigi Rocca 1878
" Epistolario di Giuseppe Cesare Abba " Gualtiero Castellini 1999